Il voto in Sardegna. Il conflitto di interessi. Il travaglio del Pd. Il governatore lancia la sua sfida: 'Se vinco dimostrerò che berlusconi si può battere. Come Prodi ha fatto due volte". Colloquio con Renato Soru
L'indirizzo è sempre lo stesso: Cagliari, piazza del Carmine 22, palazzo Chapelle. In questo edificio di inizio '900, decorazioni liberty e scale buie che sembra la location di un film di Dario Argento, Renato Soru cominciò nel '98 l'avventura di Tiscali, era gennaio anche allora: «Scesi a comprare gli scaffali per i primi computer». Qui è il comitato elettorale per la sfida della vita: le elezioni regionali del 15 e 16 febbraio. «Se vinciamo, il centrosinistra può considerare che la sconfitta non è per sempre. Si può tornare a vincere e battere Berlusconi. Come ha fatto Prodi per due volte». E basta questo per chiarire che la partita di Soru non riguarda solo la Sardegna.
Perché le elezioni anticipate?
«Tutto è nato attorno al voto sulla legge urbanistica: c'era chi voleva rovesciare il governo del territorio di questi anni, e chi voleva tornare alla stagione di una politica consumata per ricatti. Non sono stato sconfitto dalla destra, ma da un pezzo della mia maggioranza. Avevano promesso il loro appoggio, poi all'improvviso qualcuno ha passato l'ordine e hanno cambiato idea. Si è visto il capogruppo del Pdl attraversare l'aula del consiglio regionale e confabulare con alcuni consiglieri del Pd. Sa cosa mi ha ricordato? Ho pensato a quando è caduto il governo Prodi, a quella mortadella sventolata in Senato. Una cosa gravissima: quel voto è stato un gesto definitivo».
Qual è la sfida che si gioca ora in Sardegna?
«Credo nella politica e nei partiti: ma questi partiti hanno smesso di essere radicati, presenti nella società, luoghi di una densa partecipazione democratica. E si sono ridotti a club di capi e capetti. Non solo è giusto tornare a segnare un confine tra partiti e istituzioni. È urgente, urgentissimo».
In tutta Italia il Pd è dilaniato: inchieste, arresti, giunte in crisi. Esiste la questione morale?
«Ho visto politici che si fanno eleggere con la sinistra e poi votano con la destra. O che si fanno nominare nel listino del presidente e poi hanno sempre un parere diverso da lui, senza mai sentire il dovere di dimettersi. Se non è questione morale questa, cos'è? Politici così alle elezioni cercano un lasciapassare. Non c'è nessun legame con chi ti ha votato perché rappresenti un progetto. Una volta eletto ti senti in diritto di fare quello che ti pare».
Lei come li ha combattuti?
«Ho presentato nel 2004 un programma di governo, sulla cui base abbiamo vinto. E quando la maggioranza ha smesso di sostenermi me ne sono andato, rimettendomi al voto dei cittadini».
Per i suoi nemici interni lei è un personaggio autoritario, non ascolta nessuno e decide da solo.
«Ascoltare, discutere, approfondire, l'ho fatto più di chiunque, lo chieda a sindacati e imprenditori. Ascolto anche i partiti, certo. Poi però la responsabilità della decisione è mia, mi guidano la mia coscienza e il patto con gli elettori. Chi dice questo confonde l'ascoltare con l'obbedire a logiche che non sono quelle istituzionali».
Nel Pd circola la battuta: "Meglio perdere che rivincere con Soru".
«L'ho sentita anch'io. Per questo chiedo al Pd un segno forte di discontinuità. Non venga ricandidato chi ha più di due legislature. E chi non si riconosce nel programma».
Anche Veltroni deve rompere con i capibastone, come ha fatto lei?
«Non mi permetto di dargli consigli. Con Veltroni ci siamo trovati d'accordo nella scelta di andare al voto, ho molto apprezzato il suo discorso al Circo Massimo quando è stato evidente che il popolo del Pd esiste e vuole essere rappresentato».
Crede ancora nel progetto del Pd? Oppure, come dice D'Alema, l'amalgama non è riuscito?
«Mi sono candidato segretario regionale del Pd, pensi quanto ci ho creduto...».
Ne parla al passato?
«Ci credo ancora! C'è necessità e urgenza della politica. Per questo c'è bisogno di un partito di centrosinistra che rappresenti questi valori. Il Pd è una strada difficile, ma è un percorso senza ritorno. Una traversata nel deserto, come quella di Mosè. Durante la quale è necessario un leader riconosciuto che trascini il popolo smarrito. Se il popolo litiga non va da nessuna parte».
C'è stato qualche errore?
«Forse bisognerebbe mettere più in risalto la continuità con l'esperienza di Romano Prodi e dell'Ulivo. Quella è la radice più autentica del Pd: la società civile che si è avvicinata alla politica. Senza, il Pd resta la somma dei soli partiti originari, spesso con vecchi personaggi che si stavano rassegnando al rinnovamento e che si sono ritrovati di nuovo alla guida».
E lei, con quali parole d'ordine si ricandida?
«Con un programma nettamente di centrosinistra. Basato sul bene pubblico: territorio, sanità, istruzione. La destra vuole privatizzare la sanità, noi abbiamo rimesso il bilancio a posto e aperto nuovi ospedali, riportato in Sardegna i detenuti con problemi psichiatrici. Abbiamo aiutato le persone non autosufficienti come mai era successo, con oltre 20mila progetti personalizzati, dai 3mila del 2004. Sono assistiti loro e le famiglie, sollevate finalmente dai costi».
"Liberazione" le ha dedicato un inserto intitolato "Yes, Ajò": Obama e nuraghe. È diventato l'idolo della sinistra radicale.
«Perché queste cose dovrebbero essere necessariamente di sinistra? Perché a un moderato non dovrebbero stare a cuore? Una volta mi hanno attaccato: 'Perché parli di solidarietà e di ultimi? Sarebbe meglio parlare di welfare'. Forse lo ritengono poco riformista, come dice chi spesso non ha niente di riformista. Sono temi di sinistra? Per me sono temi democratici. E ci distinguono dalla destra».
Si rappresenta come Robin Hood. Ma nella difesa dei suoi interessi non è secondo a nessuno.
«Ho risolto la questione...».
Con la nomina del fiduciario Gabriele Racugno, che amministrerà Tiscali e 'Unità'. Eppure suo fratello Emanuele è stato per una settimana nel cda dell''Unità', come Paolo Berlusconi proprietario del 'Giornale'. Anche lei non sembra molto lineare sul conflitto di interessi...
«Non c'è paragone possibile tra me e Berlusconi: lui è premier e titolare di una concessione pubblica per cui è incompatibile, controlla l'intero apparato mediatico...».
Lei è in politica dal 2004. Perché ha sentito l'urgenza di risolvere questo problema solo ora?
«Nel 2004 non sentivo il problema di un conflitto di interessi. Tiscali non aveva concessioni regionali né finanziamenti pubblici. Per qualche tempo ho pensato bastasse non intervenire nella mia società. Ma ho chiesto a Guido Rossi di aiutarci a scrivere una legge regionale sul conflitto di interessi. Ora quella legge c'è. Non ancora imperativa, ma ho fatto come se già lo fosse. Berlusconi risolve il problema uscendo dal Consiglio dei ministri, io ho tolto il mio nome dal libro soci, c'è quello del fiduciario. Le azioni sono totalmente nella sua disponibilità, ci siamo impegnati a non scambiarci informazioni e direttive. È come se avessi intestato la mia casa e i miei risparmi a un altro: quanti farebbero lo stesso?».
Sarà. Ma la scrittrice sarda Michela Murgia la definisce un "Berlusconi esteticamente sostenibile". Con i soldi e la stessa ambizione di sostituire i vecchi partiti dell'originale.
«Io di Berlusconi mi sento diametralmente l'opposto».
Quando vi siete incontrati la prima volta?
«Al Quirinale anni fa, durante un ricevimento per re Juan Carlos. Per la Sardegna non ha mai fatto niente. Una volta mi disse: "Alla regione ho regalato tre musei: quello del cactus, del fico d'india e del rododendro, quando li viene a vedere?". Gli ho risposto che avrei preferito che prendesse la residenza fiscale da noi. Vorrei anche che trovasse il tempo di una visita in regione: in cinque anni mai un incontro nella casa di tutti i sardi».
Che scontro sarà con Ugo Cappellacci?
«Si presenta come nuovo, ma non lo è. È stato assessore nella giunta di centrodestra che aveva accumulato in un anno un deficit record di un miliardo e 300 milioni di euro. Non conosce la Sardegna. Sarà uno scontro Soru-Berlusconi per interposta persona. Quando ho vinto la prima volta, il governo Berlusconi era già in crisi. Ora c'è Berlusconi trionfante che pensa di potersi prendere la Sardegna. "Faccio sapere ai sardi che noi ci occupiamo amorevolmente dei problemi della loro isola". Sa di chi è questa frase? Di Benito Mussolini, l'ho ritrovata nella biografia di Emilio Lussu scritta da Giuseppe Fiori. Berlusconi dice la stessa cosa: ci penso io. Noi diciamo: no, alla Sardegna e a noi stessi pensiamo da soli».
È l'anticipo di un futuro scontro Soru-Berlusconi nazionale?
«Ho letto che mi ha fatto sondare come suo avversario. Ma forse perché intende sostituirsi al candidato in Sardegna».
Cosa cambia per il centrosinistra se Soru vince?
«Si interrompe l'idea di un sempre vittorioso Berlusconi. Se vinciamo il centrosinistra ha una ragione in più per considerare che la sconfitta non è per sempre. E che si può tornare a vincere e battere Berlusconi. Come ha fatto Prodi per due volte».
da L’Espresso 8 gennaio 2009
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento