Il "pellegrinaggio della memoria" si snoderà a ritroso da Piazza S. Maria in Trastevere lungo il percorso dei deportati di quel 16 ottobre 1943, che dal Ghetto furono condotti al Collegio Militare a Trastevere, prima di essere imprigionati nei treni con destinazione Auschwitz.


"La memoria del 16 ottobre è uno degli eventi maggiori della storia della nostra Roma contemporanea. A partire da questa memoria si costruisce un'idea di Roma e di solidarietà tra i romani. E' la memoria di una ferita all'intera città, ma soprattutto alla Comunità ebraica perpetrata, come un ladro nella notte, dopo che si era provveduto a isolare quella Comunità con le leggi razziste e con la politica fascista. A partire da quella memoria si afferma la volontà di un patto tra i romani per non dimenticare, per non isolare mai più nessuna comunità, per considerare la Comunità ebraica di questa città come uno dei luoghi decisivi per la nostra identità. Noi, come Sant'Egidio, ci sentiamo dentro questo patto a non dimenticare, che vuol dire non tollerare che nessuna comunità - soprattutto la comunità ebraica - sia isolata nella vita cittadina. Un patto per non dimenticare: è quello che si celebra ogni mese di ottobre con questa manifestazione". (Andrea Riccardi
Settimia Spizzichino: il dovere della memoria
Tutto questo è parte della mia vita e soprattutto è parte della vita di tanti altri che dai Lager non sono usciti. E a queste persone io devo il ricordo: devo ricordare per raccontare anche la loro storia. L’ho giurato quando sono tornata a casa; e questo mio proposito si è rafforzato in tutti questi anni, specialmente ogni volta che qualcuno osa dire che tutto ciò non è mai accaduto, che non è vero.
Ho una buona memoria. E poi quei due anni li ho raccontati tante volte: ai giornalisti, alla televisione, ai politici, ai ragazzi delle scuole durante i molti viaggi che ho fatto per accompagnarli ad Auschwitz... anche se non sempre sono entrata nei particolari.
Ad Auschwitz si desidera tornare - anche molti di quei ragazzi lo desiderano - e a qualcuno sembra strano. Ma perché? È come andare al cimitero a portare un fiore e una preghiera. - Raccontavo sul pullman che ci portava in Polonia. È sul pullman che si parla, quando si arriva ad Auschwitz parla la guida e parlano le cose. Le poche che sono rimaste. C’è un museo, ma i forni crematori, le camere a gas, le costruzioni in muratura sono state distrutte. La prima volta che ci sono tornata ho provato più delusione che emozione, non riconoscevo il posto.
In questi cinquant’anni trascorsi da allora sono stata spesso sollecitata a scrivere questo libro. E io lo volevo fare; ma c’erano ancora i parenti di quelle che sono rimaste là, i genitori, i fratelli, i mariti, i figli delle mie compagne del gruppo di lavoro. Quarantotto eravamo, e sono uscita viva soltanto io. Molte di loro le ho viste morire, di altre so che fine hanno fatto. Come raccontare a una madre, a un padre, che la loro figlia di vent’anni è morta di cancrena per le botte ricevute da una Kapò? Come descrivere la pazzia di alcune di quelle ragazze a coloro che le amavano? Adesso molti dei genitori, dei fratelli, dei mariti, non ci sono più; le ferite non sono più così fresche. A quelli che restano spero di non fare troppo male. Ma adesso devo mantenere la promessa che ho fatto a quarantasette ragazze che sono morte ad Auschwitz, le mie compagne di lavoro. E a tutti gli altri milioni di morti dei Lager nazisti.
Di quel gruppo faceva parte anche mia sorella Giuditta. Giuditta, così bella, così fragile, deportata assieme a me il 16 ottobre 1943. Giuditta, causa involontaria della cattura mia e della mia famiglia.
(Dal libro "Gli anni rubati" di Settimia Spizzichino)
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