giovedì 3 dicembre 2009

Care e Cari

Il 28 aprile dello scorso anno lo schieramento per il
quale mi ero candidato a continuare il mio incarico di consigliere
municipale - iniziato 2 anni prima nella lista civica per Veltroni -
perse il ballottaggio per il governo del Comune di Roma e del Municipio
19.
Io ero fuori per 2 preferenze, ma subito dopo e con l'aiuto di
alcuni amici, iniziai a rendermi conto che ciò era avvenuto solo per
evidenti irregolarità.

Da quel momento è cominciato un lungo iter
giudiziario conclusosi - solo nei primi giorni dello scorso mese di
ottobre - con l'accoglimento del ricorso proposto al TAR e una sentenza
esecutiva che mi ha visto prevalere per19 preferenze sulla controparte,
proclamandomi eletto in sua sostituzione.

Oggi, 1 dicembre, con
deliberazione all'unanimità da parte del Consiglio Municipale e con le
congratulazioni anche di diversi consiglieri dell'attuale maggioranza -
con i quali ho avuto in passato il piacere di scontrarmi, ma sempre nel
massimo rispetto dei ruoli e delle posizioni politiche assunte - sono
tornato ad essere consigliere del Municipio 19.

Vorrei ringraziare
tutte le persone che mi sono state vicine in questo anno e mezzo in cui
ho vissuto la mia esclusione mai come una sconfitta politica personale,
ma sempre come una ingiustizia nei confronti di chi aveva deciso di
scegliere me rispetto ad altre pur valide scelte.
Non ho mai smesso di
fare politica sul territorio - lo scorso 25 ottobre, un pò a sorpresa,
sono anche stato eletto fra i delegati all'Assemblea Regionale del PD -
e continuerò a farlo consapevole che la fiducia non va tradita.
Farò
del mio meglio.
Un abbraccio a tutti
n.

mercoledì 30 settembre 2009

Congresso Circolo PD Balduina 26/27 Settembre 2009

Ho voglia di lavorare per qualcosa di importante: la costruzione di un partito partecipato nel quale non contino le correnti ma gli iscritti; progressista nel senso di riformista, in grado di raccogliere la richiesta di cambiamento di cui l’Italia ha bisogno.

Un partito laico che nasce dalle migliori esperienze della tradizione socialista e cattolica, alle quali mi sono sempre ispirato, e che tuteli le esigenze dei più deboli e vigili sulla integrità dei comportamenti politici.

Ho voglia di una forza politica diversa da quella che è stata negli ultimi due anni, nei quali siamo stati più bravi a portare scontri all’interno del nostro partito piuttosto che sfidare una coalizione di governo ridicola e al contempo pericolosa, che sta minando le basi democratiche del nostro paese.

E’ di qualche giorno fa l’accusa “interna” rivolta dal segretario regionale ad un gruppo, quello comunale del PD di Roma, che si sarebbe reso colpevole di un’opposizione debole e consociativa, smettendo di fare il proprio mestiere in cambio di nomine in aziende municipalizzate.
Accuse gravi, gravissime che però se dichiarate solo in occasione della fase precongressuale e per di più rivolte a chi sostiene una mozione diversa da quella caldeggiata dall’accusatore, generano il legittimo dubbio di essere strumentali alla lotta di mozioni, tutta interna al PD

E intanto in Calabria, i numeri impazziscono:
In provincia di Catanzaro, Bersani prende 180 voti, Franceschini 36, per un totale di 216 voti espressi, in un circolo con soli 162 iscritti. A Caraffa, ancora in Calabria: il circolo ha soli 5 iscritti, mentre i votanti sono 36.

Ma è questo il partito che voglio? È questo il partito che vogliamo?
Non è certo il partito delle correnti, del consociativismo, o quello delle tessere che può dare prospettiva e slancio all’impegno politico di tutti noi.
Per puntare in alto dobbiamo partire dal basso, guardando al territorio per assicurare un coinvolgimento più ampio dei cittadini e delle associazioni.

Dobbiamo costruire una nuova generazione di dirigenti che prenda decisioni chiare ed univoche, non condizionate da gruppi di pressione. Andare oltre la solita “sommatoria dei due vecchi gruppi dirigenti”, che ripropone antiche divisioni e che impedisce l’emersione di nuove energie e competenze, continuando a trascinare il partito nell’immobilismo litigioso e nel verticismo delle correnti.

E’ per questo motivo che due mesi fa, ho scelto di sostenere la candidatura del senatore Ignazio Marino. Una persona “al di fuori dei giochi”, non irrigidito nelle dinamiche interne alle segreterie di partito, la cui candidatura si fonda su una grande forza culturale e su valori e principi difesi senza compromessi.

Oggi, dopo averlo conosciuto, ascoltato e riascoltato ho la convinzione che possa davvero rappresentare la vera alternativa, l’unica reale possibilità di cambiamento.
Perché anch’io credo nell’inclusione contro ogni discriminazione, nelle capacità di ognuno messe a disposizione della crescita collettiva.
Il Partito Democratico di Ignazio Marino è il mio partito, perché valorizza il merito ed ha coraggio nel produrre innovazione, perché ripropone con forza il tema della legalità e del rispetto delle regole.

Non abbiamo apparati organizzativi in grado di mobilitare gli iscritti. Ma abbiamo una grande volontà di spenderci per la politica, quella nobile, però, che ci appassiona perché risolve i problemi; quella che garantisce tutti perché non è contro nessuno, pur essendo di parte. Quella che porta con sé contenuti lasciando qualche volta da parte la mera strategia.
La strategia che talvolta anche qui fra noi, in questo circolo, è diventata argomento centrale; un fine e non un mezzo.

Ripartiamo da cose concrete, diamoci una possibilità di rilancio attraverso la costruzione di un partito coerente e solidale che si ponga finalmente come forza di governo credibile.
Investiamo nel progetto di un PD radicato nella società, gestito in modo aperto e plurale con Ignazio Marino Segretario nazionale e con alla Segretaria regionale la nostra amica Ileana Argentin, che con passione e coraggio è da sempre, a Roma e non solo, un punto di riferimento per quanto riguarda le politiche sociali e i diritti civili.

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Un ultimo importante cenno al lavoro svolto per la Mozione Marino/Argentin da alcuni iscritti a questo circolo sul tema della partecipazione.
Noi pensiamo che sia importante rendere i circoli luoghi partecipati, vivaci, al servizio dei quartieri e delle comunità circostanti. Luoghi di integrazione culturale e di discussione politica, di proposta e di verifica dell’operato del partito e delle amministrazioni.
Per questo abbiamo costruito un documento che la Mozione Marino ha accettato di assumere come base di discussione, da proporre all’assemblea dell’11 ottobre. Lo potete trovare sul nostro sito (www.scelgomarino.it).
Mozione a Sostegno della candidatura del sen. Ignazio R. Marino a segreterio del Partito Democratico

Nico

giovedì 9 luglio 2009

Con Ignazio Marino alle primarie del Partito Democratico

Credo in un'Italia diversa, Credo nella cultura del merito, nella solidarietà, nel rispetto delle regole, nei diritti uguali per tutti.Credo che sia necessario liberare le energie migliori di questo Paese per dar vita ad un Paese sereno e moderno, in cui si faccia strada il coraggio, la capacità, la speranza per un lavoro con un salario degno che valorizzi ogni individuo.Perchè ognuno possa costruire con fiducia il futuro, realizzare il proprio sogno.Su questa strada siamo in anti, liberi nello spirito e pronti ad impegnarci - senza essere spinti, né sostenuti da correnti - a portare finalmente nella politica italiana e nel nostro Paese una ventata di nuovo.In particolare credo che il Sen. Ignazio Marino possa ben incarnare il “nuovo” nel senso migliore della parola: Marino è persona che non avendo alle spalle una storia di ex ed avendo una visione laica dello Stato, pur essendo cattolico, nonché volendo dare il giusto valore al merito e non alla "appartenenza", potrebbe costituire quel momento di svolta che da tanto tempo aspettiamo.Per questo motivo mi permetto di sollecitare l'iscrizione al Partito Democratico, per poter sottoscrivere la sua candidatura alla fase congressualeL'iscrizione deve essere effettuata entro il 21 luglio e contestualmente sarebbe bene firmare il modulo (che potete scaricare dal sito ufficiale del PD nazionale) con l'indicazione del candidato, in quanto entro il 23 luglio le firme di sottoscrizione e le candidature devono essere depositate. E' stato, inoltre, allestito un sito per raccogliere e organizzare volontari per collaborare con il comitato a sostegno della candidatura di Ignazio Marino.
Il link è: http://www.scelgomarino.info/Chi vuole si può iscrivere, e diffondere...
Un abbraccio,n.

martedì 7 luglio 2009

La QUESTIONE SICUREZZA e il Sindaco ALEMANNO

Da un anno a questa parte nella nostra città stanno aumentando le aggressioni, le violenze sulle donne, i furti... la devianza giovanile cresce vertiginosamente così come i micro reati; la malavita organizzata si infiltra in maniera sempre più capillare nel nostro tessuto produttivo;

Prima lo leggevamo sui giornali e ci indignavamo. Adesso ne siamo colpiti personalmente e cominciamo ad avere veramente paura di non poter più girare tranquillamente nelle strade.
Sembra che sia diventato un fatto “normale” portare con sé con un coltello pronto per essere usato. Sembra che in questa città stiamo perdendo il senso del rispetto della propria vita e della vita altrui.

Un mese fa’, nel Quartiere Garbatella, due ragazzi sono stati aggrediti vigliaccamente alle spalle, insultati e rincorsi per strada: uno di loro è stato preso e accoltellato alla gamba.

Due mesi fa il Comune di Roma “dimenticava” – per poi trovare un escamotage di comodo per riparare alla gravità del fatto - di costituirsi Parte Civile nel procedimento per lo stupro di gruppo contro due cittadini olandesi, avvenuto a ponte Galeria nell’agosto dello scorso anno durante il governo Alemanno! Tale leggerezza ci fa riflettere sulla consapevolezza che il Comune ha rispetto al problema e l’intenzione di affrontarlo seriamente, malgrado l’approvazione « all’unanimita » della delibera che lo impegnava alla costituzione di parte civile in tutti i casi di stupro contro donne commessi a Roma.

Lo scorso 21 Gennaio - pochi giorni prima dell’altra terribile violenza commessa contro una minorenne nel parco della Caffarella e pochi giorni dopo quello che le cronache ricordano come lo stupro di capodanno - una donna di 41 anni è stata brutalmente violentata nel nostro Municipio, nella zona del Quartaccio in via Andersen.
Ad oggi ancora non ci è dato conoscere i colpevoli!
I cittadini hanno richiesto più volte – anche con la raccolta di firme - un confronto aperto con il presidente e la giunta municipale affinché venissero trovate insieme le più opportune soluzioni… Ma, probabilmente, la difficoltà del problema ha reso impossibile questo confronto, che infatti non se è mai tenuto!

Il confronto si è tenuto invece in un consiglio aperto sul problema relativo al piccolo campo rom attrezzato di via Lombroso, qui dietro al complesso del Santa Maria della Pietà.
Il nostro Municipio lo ha affrontato promettendo ai cittadini di Monte Mario che avrebbe spazzato via la minaccia rom - quando in realtà si tratta di persone piuttosto integrate – e l’avrebbe spostata di fatto in un nuovo campo da istituire in una non meglio identificata area della zona periferica di Tragliatella.
Tutto ciò, naturalmente all’insaputa degli abitanti di Tragliatella, perché i consigli aperti della Giunta Milioni si fanno lì dove si prevede l’applauso e non dove si temono i fischi!!!!

Caro sindaco, non siamo certo noi a doverLe spiegare che l’ordine pubblico va garantito sì con la repressione ma soprattutto con un’opera di prevenzione e di coinvolgimento.
Appare, purtroppo, evidente che per quanto riguarda gli stupri, la destra non sappia far altro che speculare.
Il Comune di Roma negli anni scorsi ha aperto e finanziato due centri antiviolenza e creato la Casa Internazionale delle Donne al Buon Pastore. Questo è esempio di un’attività concreta e quotidiana.
Ma la realtà attuale è quella dei vigili urbani senza mezzi e con personale sottodimensionato, della polizia che chiude i commissariati, delle volanti da riparare ferme nei garage e dei soldi per gli straordinari non stanziati.
Come si intende controllare il territorio se si spengono le luci e le telecamere situate nei luoghi sensibili non funzionano?
Sulla sicurezza è ora di passare ai fatti e porre la parola fine a mesi di demagogia alimentate dalle campagne della destra, inutili per i cittadini e destinate solo ad alimentare insicurezza e paure.

Per quanto riguarda le decisioni da assumere rispetto ai problemi delle popolazioni nomadi e dei residenti, è il caso di chiarire che il concetto di campo rom va superato.
E’ necessario - partendo dalla rilocalizzazione e ridefinizione dei campi - dare un segno tangibile all’inserimento delle popolazioni rom; è ora che si lavori per una adeguata integrazione scolastica e per il riconoscimento di cittadinanza dei rom presenti sul territorio romano.
I bambini devono vedere garantita l’ opportunità di frequentare la scuola e una volta diventati adulti – come già succede in molti casi – devono avere l’opportunità di un lavoro regolare ad oggi condizione resa impossibile per la mancanza di documenti d’identità, malgrado si tratti, nella stragrande maggioranza dei casi, di persone nate in questa città.

È necessario utilizzare i fondi disponibili per evitare insediamenti spontanei che producono caos e intolleranza, non ridurre i campi attrezzati e ampliare quelli rimanenti, contribuendo così a complicarne la gestione e a moltiplicare le situazioni di sofferenza e pericolo.
E la promessa di una vigilanza armata fuori dei campi nomadi non può far altro che renderli sempre più ghetti, sempre più distanti da una possibile integrazione …

Sindaco, la sua campagna elettorale è stata condotta e vinta puntando principalmente sul fattore SICUREZZA.
Ma questa è la sicurezza che ci prometteva?
Con gli slogan e la propaganda non si risolvono i problemi. Ci vuole un’idea di società e di integrazione che fermi questa ondata di violenza perché noi
NON VOGLIAMO VIVERE NELLA PAURA.

Roma, 6 luglio 2009

venerdì 15 maggio 2009

A cosa serve l’opposizione

di Nadia Urbinati

Mutazioni preoccupanti dei modi della politica, e scomparsa del ruolo dell’opposizione, nella fase attuale delle democrazie.
C’è un fenomeno che accomuna democrazie di diversi continenti e paesi, con più o meno solide tradizioni costituzionali, con governi di destra e di sinistra: lo sfilacciamento e l’impotenza dell’opposizione. Negli Stati Uniti, la vittoria di Obama e del Partito democratico è stata accompagnata da un crollo senza precedenti del Partito repubblicano, il quale nonostante la radicalizzazione del linguaggio reazionario di alcuni suoi leader non riesce a riconquistare credibilità presso il suo proprio elettorato; e soprattutto è incapace di definire una politica di opposizione che sia seria ed efficace. Si dirà: le sconfitte sono sempre accompagnate da delusione e smarrimento in chi le subisce.Nulla di nuovo sotto il sole. Non é forse vero che dopo la vittoria di Reagan lo stesso destino era toccato al Partito democratico che ha impiegato due decenni per rinascere? Eppure qualcosa di nuovo sembra esserci. In Brasile, per esempio, il presidente Lula è al suo secondo mandato e gode di una larghissima popolarità, tanta quanto quella del nostro presidente del Consiglio, di Sarkozy e di Obama. A differenza degli altri paesi, la sua maggioranza ha una storia di più lunga durata e questo avrebbe dovuto consentire all’opposizione di meglio attrezzarsi al suo ruolo e raffinare linguaggio e strategia. Invece, come notano anche osservatori che condividono la politica del presidente Lula, la prova che danno di sé i partiti di minoranza (tanto di sinistra estrema quanto e soprattutto di destra) è deludente.Eppure un governo che fa buone politiche e ha largo consenso non ha meno bisogno di essere incalzato dall’opposizione di un governo che fa politiche pessime e ha un consenso risicato. In Europa, la situazione non è diversa. In Francia, il Partito socialista non gode di miglior salute del nostro Partito democratico, e l’insoddisfazione dei suoi elettori non è meno accentuata. Pierre Rosanvallon ha avuto modo di commentare di recente le ragioni della crisi della sinistra francese e ha osservato che è fuorviante parlare genericamente di crisi delle ideologie. In realtà, a essere in crisi è solo l’ideologia che esce sconfitta dalle elezioni.L’identificazione delle elezioni con la competizione sportiva, la lettura dell’esito elettorale in termini di vittoria-e-sconfitta, è un segno indicatore per comprendere quella che chiamerei la sindrome dell’inutilità della dialettica politica post-elettorale. Il suffragio, come sappiamo, contiene due diritti: quello di formare una maggioranza (i voti si contano) e quello di essere rappresentati (i voti si traducono in seggi). Il secondo non è meno importante del primo perché il Parlamento, per godere di una legittimità non solo formale, dovrebbe essere in grado di riflettere il maggior numero delle componenti ideali della società, anche quelle che non hanno vinto. Chi ha "perso" le elezioni è assente dall’esecutivo ma non è né può essere assente dal Parlamento. In questo senso è scorretto usare il linguaggio della vittoria e della sconfitta perché suggerisce l’idea - fuorviante e pericolosa - che conta solo chi vince.Nell’ottica della vittoria e della sconfitta, l’opposizione non pare avere altro ruolo che quello di testimoniare i perdenti presso il pubblico dei vincitori. E il perdente in una competizione che registra solo chi vince è certamente inutile o impotente; non conta nulla. Ma questa non è né la logica né la procedura che opera nelle democrazie rappresentative, anche se è vero che i sistemi elettorali maggioritari sono più di quelli proporzionali predisposti a favorire questa mentalità. Ma l’intensità del problema che si manifesta oggi travalica la stessa funzione dei sistemi elettorali e chiama in causa la cultura politica, se si vuole l’ethos, il modo di pensare che si sedimenta nell’opinione pubblica. Le democrazie contemporanee sembrano essere sempre di più governi della maggioranza, non semplicemente sistemi nei quali i partecipanti alle decisioni parlamentari decidono secondo il criterio di maggioranza. L’etica della gara per la vittoria è il segno di uno stravolgimento della partecipazione alla costruzione della politica nazionale, perché è evidente che anche chi non ha conquistato la maggioranza contribuisce a determinare la politica nazionale: lo fa sia perché siede in Parlamento e il suo voto è comunque decisivo anche quando sia solo per registrare l’esito di una votazione, sia perché la sua presenza è comunque attiva, attraverso la voce, la contestazione e la capacità di condizionare una proposta di legge. Il lavoro dell’opposizione ha una grande dignità e il voto a un partito che non vince non è un voto perso.Ma l’ideologia che sembra dominare il campo oggi è quella che vuol far credere che la popolarità dei sondaggi renda l’opposizione inutile, che la maggioranza sola debba governare e che i leader debbano essere come in una permanente campagna elettorale. Un elemento che non può sfuggire in questa politica della celebrità del capo e della sua maggioranza è l’esautoramento delle assemblee legislative. Il Parlamento decade nella misura in cui solo la maggioranza ha voce e visibilità. La funzione dell’opposizione è anche per questa ragione cruciale - la sua sconfitta numerica non si traduce mai in una sconfitta del suo ruolo politico, perché la sua voce e la sua presenza sono la nostra garanzia di libertà democratica. Più di questo: l’opposizione politica è depositaria della nostra certezza che l’alternanza democratica non è un’utopia. Ci si dovrebbe imporre di non ascoltare le sirene dell’ideologia dell’inutilità dei perdenti perché il gioco democratico ci assicura che non c’è la fine della storia.

La Repubblica, 7 maggio 2009

venerdì 24 aprile 2009

Chi canta fuori dal coro è comunista

di Eugenio Scalfari  •19-Apr-09
Il fatto che l'attuale presidente del Consiglio abbia a sua completa mercé la propria azienda televisiva privata e l'intera azienda pubblica ... configura quindi una situazione che non ha riscontro in nessuna democrazia del mondo.

Non si può non cominciare con le nomine alla Rai. Gli altri giornali minimizzano con l'aria di dire che si è sempre fatto così: la Rai è proprietà del governo e quindi è il governo che ha il potere di decidere trasmettendo le sue indicazioni all'obbediente maggioranza del Consiglio d'amministrazione. E' vero, sostanzialmente è sempre stato così ma con qualche differenza di non poco conto. La prima differenza è questa: nessun governo, tranne quelli guidati da Silvio Berlusconi, ha mai avuto a sua disposizione le televisioni commerciali, cioè l'altra metà del cielo televisivo. Il fatto che l'attuale presidente del Consiglio abbia a sua completa mercé la propria azienda televisiva privata e l'intera azienda pubblica (salvo la riserva indiana di Raitre finché durerà) configura quindi una situazione che non ha riscontro in nessuna democrazia del mondo. Non so se sia vero che le nomine siano state decise l'altra sera nella riunione di tre ore nell'abitazione romana del premier. E' certo comunque che i nomi proposti dal direttore generale Masi saranno ratificati senza fiatare dal Cda della Rai di mercoledì prossimo e saranno tutti "famigli" di Berlusconi, provenienti dalle sue televisioni private o dai suoi giornali o pescati tra le giovani speranze già inserite nell'accogliente acquario dell'azienda pubblica, collaudati custodi del credo berlusconiano nel circuito mediatico. Non ci sarà purtroppo una sola persona che abbia mai mostrato un barlume d'indipendenza, un soprassalto di dignità professionale, un dubbio sull'assoluta verità predicata dal Capo.
Questo è lo scandalo, questa è la vergogna, alla quale quel poco di cosiddetta indipendenza che ancora esiste nella stampa italiana si sta ormai adattando per assuefazione esprimendo tutt'al più qualche sommesso brontolio subito seguito da rimbrotti all'opposizione, colpevole di ideologismo e di conservatorismo. Il quadro è desolante. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. Il controllo dei "media" non serve soltanto a procacciar voti ma soprattutto a trasformare l'antropologia d'una nazione. Ed è questa trasformazione che ha imbarbarito la nostra società, l'ha de-costruita, de-politicizzata, frantumata, resa sensibile soltanto a precarie emozioni e insensibile alla logica e alla razionalità. Chi non è d'accordo è comunista. E firme di intellettuali o sedicenti tali accreditano questo scempio culturale e questa menzogna. Dedicherò dunque al predetto scempio il seguito del mio ragionamento.
* * *
Quindici anni fa partecipai alla presentazione di un libro di Achille Occhetto al circolo della stampa estera a Roma, in quell'occasione il corrispondente di un giornale tedesco mi domandò che fine avrebbero fatto i comunisti dopo che il Pci aveva buttato alle ortiche il suo nome e la sua ideologia. Risposi che i comunisti dovevano morire e così i loro figli e nipoti fino alla settima generazione. Solo quando fossero tutti fisicamente estinti sarebbe cessata la polemica nei loro confronti. Infatti è quanto è avvenuto e sta ancora avvenendo e poiché siamo ancora lontani dalla settima generazione l'anatema contro di loro continua e continuerà per un bel pezzo. Non è soltanto il tema prediletto dal nostro premier e dai Bonaiuti di turno, è anche diventato il piatto forte di molti belli ingegni transumanti che all'ombra del revisionismo sono passati dall'anticomunismo di "Lotta continua" e di "Potere operaio" all'anticomunismo di destra. Per loro ormai i comunisti sono diventati un'ossessione, ne vedono la presenza ovunque, alimentano i loro incubi e le loro farneticazioni e ai comunisti attribuiscono tutti i mali antichi, recenti, attuali e futuri che affliggono la politica italiana. I comunisti. Il Partito comunista italiano. La sinistra italiana. Sono ancora tra noi. Non sono affatto scomparsi. Non sono estinti. Non sono stati rinnegati. Finché questo lavacro definitivo non sarà compiuto l'Italia sarà in pericolo e con essa anche la democrazia. Ne ha fatto le spese l'ultimo libro di Aldo Schiavone il quale ha risposto al mitragliamento di cui era bersaglio con un articolo su "Repubblica" di qualche giorno fa. Con pungente ironia Schiavone domandava ai suoi interlocutori: che cosa volete che faccia? Debbo suicidarmi? Vi contentereste invece se promovessi un salmodiante corteo di pentiti che percorrano le strade d'Italia autoflagellandosi e invocando perdono per il peccato d'essere stati nel Pci? La risposta non è ancora arrivata ma sarà sicuramente quella da me anticipata nel 1994, all'alba della stella berlusconiana: dovete morire fino alla settima generazione. Caro Aldo Schiavone, non c'è altra espiazione che basti a cancellare il vostro peccato mortale.
* * *
Tra le persone che mi onorano della loro amicizia c'è Alfredo Reichlin. Abbiamo più o meno la stessa età, ci conosciamo e stimiamo da mezzo secolo sebbene i nostri percorsi culturali siano stati assai diversi. Lui entrò nel Pci ai tempi della Resistenza, io sono di cultura liberale e tale sono rimasto anche se dopo la morte di Ugo La Malfa ho sempre votato per il Pci, poi per i Ds e infine per il Partito democratico che è il più conforme alle mie idee liberal-democratiche. Reichlin ha scritto qualche anno fa un libro insieme a Miriam Mafai e a Vittorio Foa, che ha avuto molto successo ed è stato portato in teatro da Luca Ronconi. La domanda che quel libro si poneva era appunto perché un democratico è potuto diventare comunista e che cosa faranno i comunisti dopo che il comunismo è scomparso dalla scena politica del mondo. Tra le risposte ce n'è una di Reichlin che riassumo così: il Pci ha certamente commesso molti errori, ha condiviso un'ideologia sbagliata, ha perfino coperto alcuni crimini, ma non è una realtà discesa sull'Italia come un meteorite. La domanda da porsi è dunque questa: perché la società italiana ha reso possibile la nascita d'un partito come il Pci, al quale si sono iscritti o per il quale hanno votato operai e borghesi, artigiani e contadini, marxisti e liberali, atei e credenti? Che al suo culmine ha quantitativamente raggiunto i voti della Democrazia Cristiana? Che Aldo Moro ha associato negli anni di piombo al governo del paese? Questa domanda meriterebbe un'analisi seria. Almeno altrettanto seria quanto l'altra domanda speculare: perché la società italiana attuale ha reso possibile la nascita del berlusconismo e gli ha dato uno strapotere che somiglia sempre più ad un regime? Con una differenza tra le due domande: ragionare sul Partito comunista sta diventando col passare degli anni materia per gli storici; ragionare sul berlusconismo è un tema maledettamente attuale e riguarda la politica e non ancora la storia.
* * *
Si dice che ormai non c'è più differenza tra destra e sinistra. Si inventano nuove classificazioni, per esempio quella tra progressisti, moderati, conservatori. Discorsi inutili e abbastanza noiosi. Scolastici. Lontani dalla realtà. Il tema di oggi è il rapporto tra i grandi ideali della modernità: libertà eguaglianza fraternità. L'ho già scritto altre volte: l'età moderna è nata da questo trittico di principi e ha dato segnali di decadenza tutte le volte che quel trittico si è indebolito nelle coscienze e nella politica. Il tema di oggi è quello di ridurre le disuguaglianze senza mettere a rischio la libertà. Questo distingue la sinistra dalla destra. Bisogna tradurlo in atti politici. Bisogna cambiare l'antropologia del Paese. Bisogna superare l'indifferenza e l'apatia. Bisogna resistere per costruire il futuro.
da La Repubblica 19 aprile 2009

giovedì 9 aprile 2009

Non sprecate il vostro talento e l'energia, di fronte alle tante sfide e alle opportunità che si presentano lasciatevi coinvolgere: a volte rimarrete delusi, ma vivrete una grande avventura...
Barak Obama

Solidarietà!

A seguito della terribile catastrofe che ha coinvolto l'abruzzo, in questi giorni, anche dalle nostre parti, si è aperta una vera e propria gara di solidarietà per la raccolta di indumenti, coperte, cibo non deteriorabile e per la donazione del sangue.Attraverso l'utilizzo di facebook abbiamo contattato tanta gente che si è diretta nei punti di raccolta e ha riempito due camion partiti questa mattina per l'aquila con il mio amico Simone.c'è però rimasto altro materiale presso il circolo PD di primavalle in Via Federico Borromeo, 33 Tel. 06-6147724. Se conoscete qualcuno che è abilitato dalla protezione civile a partire per i luoghi terremotati e che possa portarlo sarebbe fantastico.Inoltre, un mio collega abruzzese, Andrea cell. 329.9266402, partirà domani mattina per l'aquila e chi volesse inviare SOLO giocattoli e biancheria intima, può tranquillamente contattarlo a nome mio.Ultima cosa, stasera nel cicolo PD di balduina di Via Pompeo Trogo, 36 stasera dalle 19.00 in poi ci sarà una cena a buffet con sottoscrizione per una raccolta fondi da destinare alle necessità più impellenti.Grazie infinite per la collaborazione n.

giovedì 19 marzo 2009

Banca del Tempo

Cos'è la Banca del Tempo
Le Banche del Tempo italiane sono: "libere associazioni tra persone che si auto-organizzano e si scambiano tempo per aiutarsi soprattutto nelle piccole necessità quotidiane. Non si tratta scambio di merci o di prestazioni con un valore di mercato valutabile. Le Banche del tempo sono luoghi nei quali si recuperano le abitudini ormai perdute di mutuo aiuto tipiche dei rapporti di buon vicinato. Oppure si estende a persone prima sconosciute l'aiuto abituale che ci si scambia tra appartenenti alla stessa famiglia o ai gruppi di amici".
La "regola di fondo che vige in tutte le Banche del Tempo. è lo scambio".
Sinonimo di reciproca convenienza, lo scambio presuppone, per sua stessa definizione, che i soggetti che entrano in relazione siano attivi. Di conseguenza, diversamente che nel Volontariato (che si regge sul dono di aiuto ai bisognosi di assistenza), "la solidarietà che circola nelle B.T. non è a senso unico. E' reciproca e alla pari. Il tempo scambiato è misurato in ore e l'ora è di 60 minuti per tutti, indipendentemente dalla professione, dalla classe sociale di appartenenza o dalle condizioni economiche delle singole persone".
Le B.T. servono a soddisfare bisogni materiali e bisogni immateriali. Tra i primi, prevalgono quelli legati all'organizzazione quotidiana della vita delle persone e delle famiglie; tra i secondi, il bisogno di compagnia e di allargare la rete delle amicizie.
Le banche, infatti, sono luoghi di socializzazione, che favoriscono anche la messa in comune di saperi e conoscenze.
L'elenco degli aiuti che vengono scambiati e misurati in ore è molto lungo. Può essere suddiviso in due grandi aree: la prima, la prevalente, è composta dalle prestazioni minute che riguardano lo svolgimento della vita quotidiana (la spesa, la cucina, la lavanderia, le relazioni con gli enti pubblici, i bambini, gli anziani, il tempo libero in compagnia...); la seconda, molto diffusa anche perché favorisce la socializzazione, riguarda lo scambio dei saperi. Cioè, il baratto delle conoscenze che le singole persone possiedono. Questo secondo tipo di scambi mette sullo stesso piano saperi esistenti sul mercato (computer, lingue, pittura, fotografia…) e saperi "fuori mercato", nel senso che ad essi non è attribuito valore economico. E' il caso dei saperi delle persone anziane (come si viveva anni fa, i vecchi mestieri, com'era la città...) e delle casalinghe (ricette, ricami, pizzi, stiro...).


L'organizzazione di una Banca del Tempo
L'organizzazione delle B.T., per quanto riguarda gli scambi di tempo e la loro contabilità, è copiata dalle banche vere. Ad esempio: gli scambi si pagano con assegni presi dal libretto in dotazione di ciascun socio; ciascun socio ha un proprio conto corrente sul quale la segreteria della banca segna i crediti (le ore date, cioè gli assegni depositati), sia i debiti (le ore ricevute, cioè gli assegni spesi).
Rispetto alle banche vere, un particolare rende alquanto differenti le B.T.: non si maturano interessi sui depositi e neppure si pagano quando si va in rosso, ma c'è il vincolo del pareggio. Chi ritira soltanto, è richiamato con cortesia e comprensione a rientrare, ma se fa il furbo viene, sempre cortesemente, messo alla porta.

Chi ne usufruisce
Chiunque, donna e uomo e di tutte le età può aderire a una Banca del Tempo. La stragrande maggioranza dei soci promotori e aderenti è costituita da donne, ma, dopo la fase iniziale quasi del tutto al femminile, è presente anche una buona quota di uomini che, aderendo, scoprono di poter soddisfare una sfera di bisogni lontani dalla loro cultura. A prevalere tra i soci sono persone che lavorano.

Nel nostro Municipio la Banca del Tempo è gestita dall'A.Ge presso:
Centro Anziani Primavalle - via Jacobini 7 - tel/fax 06.6127.0230 lunedì 9.00 - 11.45 e mercoledì 16.00 - 18.45
S. Maria della Pietà - pad. 30- stanza 38 - tel. 06.6961.9417 mercoledì 9.30 - 13.00
e dal 26 marzo presso l'Istituto Comprensivo D.R. Chiodi - via Appiano 15 - il giovedì dalle 16.30 alle 19.30 - tel. 347.9392982

INAUGURAZIONE
IL 23 MARZO ALLE ORE 17.30

venerdì 13 febbraio 2009

“Il cammino della democrazia non è un cammino facile. Per questo bisogna essere continuamente vigilanti, non rassegnarsi al peggio, ma neppure abbandonarsi ad una tranquilla fiducia nelle sorti fatalmente progressive dell’umanità… La differenza tra la mia generazione e quella dei nostri padri è che loro erano democratici ottimisti.
Noi siamo, dobbiamo essere, democratici sempre in allarme”.

Norberto Bobbio
Giornata nera per la Repubblica
di
Stefano Rodotà  •07-Feb-09

È una pessima giornata per la Repubblica. Siamo di fronte ad un conflitto costituzionale davvero senza precedenti.
E cioè ad un governo che sfida il Presidente della Repubblica che si era fatto fermo difensore delle ragioni della Costituzione e dei diritti fondamentali delle persone. La gravissima decisione del Governo di intervenire con un decreto nella vicenda di Eluana Englaro, dopo che Giorgio Napolitano aveva pubblicamente motivato le ragioni del suo dissenso, sovverte gli equilibri istituzionali, apre una fase in cui si va ben oltre quella "tirannia della maggioranza", di cui ci ha parlato in modo eloquente il liberale Alexis de Tocqueville, e si entra in una "terra incognita" dove la partita politica è dominata non dal senso dello Stato, ma dalla brutale volontà del presidente del Consiglio di offrire rassicurazioni agli esponenti di una potenza straniera a qualsiasi costo, anche quello dello sconvolgimento della stessa democrazia costituzionale.È così, anche se una affermazione tanto netta può sembrare brutale. Con una sola mossa vengono colpiti molti bersagli. La Costituzione, unica carta dei valori democraticamente legittimata, vera "Bibbia laica", viene travolta per porre al suo posto un’etica di Stato attinta ai diktat delle gerarchie vaticane (non a un sentire diffuso nello stesso mondo cattolico, che alla vicenda di Eluana Englaro si è avvicinato con rispetto e pietà). La sovranità del Parlamento viene ulteriormente mortificata, perché ad esso si nega la prerogativa d´essere il luogo privilegiato per discutere e decidere quando si tratta di diritti fondamentali. L’autonomia della magistratura scompare nel momento in cui si cancellano le sue decisioni con un atto d’imperio, creando un precedente devastante per la sopravvivenza stessa di un brandello di Stato di diritto. I diritti fondamentali delle persone non sono più affidati alla garanzia della legge, ma alle pulsioni delle maggioranze.Ma il bersaglio maggiore è proprio il Presidente della Repubblica, che mai come in questo momento incarna limpidamente la sua funzione di massimo garante della Costituzione. Ispirandosi al principio della "leale collaborazione" tra gli organi dello Stato, Giorgio Napolitano aveva nei giorni scorsi manifestato al governo le sue perplessità su un decreto che, rendendo impossibile l’esecuzione di una decisione della magistratura, si esponeva evidentemente al rischio dell’incostituzionalità. Quando è stato reso noto il possibile contenuto del decreto, che alcune contorsioni interpretative rendevano ancor più inaccettabile (la sentenza n. 334 del 2008 della Corte costituzionale ha chiarito che la competenza in materia spetta alla magistratura), il Presidente della Repubblica ha inviato una lettera al presidente del Consiglio per ribadire il suo punto di vista, con un atto di straordinaria trasparenza e responsabilità, reso necessario proprio dall’eccezionalità della situazione e dall’emozione con la quale viene seguita una vicenda così drammatica. Mai come in questo momento l’opinione pubblica ha bisogno di chiarezza, di comportamenti istituzionali immediatamente decifrabili, e non dell’eterno gioco dei sotterfugi, dei percorsi obliqui. Dopo la forzatura dell’atto di indirizzo del ministro Sacconi, rivelatosi privo di una pur minima base giuridica, diveniva ancor più evidente la necessità di seguire percorsi costituzionalmente impeccabili. La lettera di Napolitano è la testimonianza di un scrupolo istituzionale raro, di un rigore argomentativo al quale nessuno dovrebbe sottrarsi.Nelle sue dichiarazioni, invece, il presidente del Consiglio rivela una distanza abissale dalla logica costituzionale, una concezione proprietaria della decretazione d’urgenza che, a suo dire, sarebbe completamente sottratta a qualsiasi valutazione da parte del Presidente della Repubblica. Tesi costituzionalmente non proponibile, come nella sua lettera aveva già chiarito il Presidente della Repubblica con indicazioni che Berlusconi volutamente ignora, passando addirittura alle minacce: dichiara, infatti, che, se non gli viene consentito di usare i decreti legge a suo piacimento, cambierà la Costituzione. Così, com’è sua collaudata abitudine, schiera se stesso e le sue troppo docili truppe per un nuovo e devastante assalto alla legalità, seguendo il suo collaudato copione plebiscitario che lo porta addirittura ad ignorare quali siano le procedure per la revisione costituzionale, visto che afferma che ritornerebbe "dal popolo a chiedere un cambiamento della Costituzione". Mai dichiarazione fu più rivelatrice di questa. La Costituzione non è la regola delle regole, ma un impaccio di cui ci si può tranquillamente liberare. La rottura costituzionale è dichiarata.
Così Berlusconi gioca il governo contro il Presidente della Repubblica e si prepara a rendere concreta un’altra minaccia. Visto che il Presidente della Repubblica ha già dichiarato che non firmerà un decreto "incostituzionale", porterà in Parlamento un disegno di legge sul testamento biologico da approvare in tre giorni. Così gioca il governo anche contro il Parlamento, esplicitamente declassato dal Principe a buca delle lettere, a luogo dove la sua volontà dev’essere ratificata senza discussione.
Si apre, dunque, una fase in cui al grande tema del morire con dignità si affianca quello, grandissimo, della difesa della Costituzione. Immediata, allora, diventa la responsabilità di tutte le forze politiche, degli organi istituzionali chiamati ad una pubblica assunzione della responsabilità loro propria, come ha già fatto, dimostrando senso dello Stato e della legalità, il Presidente della Camera, Gianfranco Fini. Responsabilità tanto maggiore in quanto, sia pure attraverso il discutibile strumento dei sondaggi, l´opinione pubblica si è espressa, dichiarandosi per il 79% a favore del morire dignitoso di Eluana Englaro e addirittura per l´83% a favore di una Chiesa che parli alle coscienze e non pretenda di imporre la fede attraverso gli atti del legislatore. Torna qui alla memoria il diverso spirito dei cattolici democratici, che si coglie nelle parole dette da Aldo Moro al consiglio nazionale della Dc all’indomani della sconfitta nel referendum contro la legge sul divorzio, nel 1974, con le quali si metteva in guardia contro le forzature «con lo strumento della legge, con l’autorità del potere, al modo comune di intendere e disciplinare, in alcuni punti sensibili, i rapporti umani»; e si consigliava «di realizzare la difesa di principi e valori cristiani al di fuori delle istituzioni e delle leggi, e cioè nel vivo, aperto e disponibile tessuto della nostra vita sociale». Ma il limite all’intervento del legislatore non trova il suo fondamento solo in ragioni di opportunità. Ricordiamo le parole alte e forti con le quali si chiude l’articolo 32 della Costituzione, dedicato al fondamentale diritto alla salute, dunque al governo della propria vita: «La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». È proprio questo il caso di Eluana Englaro e di tutti coloro che vorranno liberamente decidere sul loro morire. Vi è un confine costituzionale che il legislatore non può varcare – né con decreti legge, né con altri strumenti normativi – oltre il quale compare la persona con la sua autonomia e la sua libertà.
Quei sondaggi, allora, sono un monito e una risorsa. Un monito alle forze politiche, che di quei cittadini dovrebbero essere consapevoli interlocutori. E si tratta di una risorsa che sono gli stessi cittadini a dover utilizzare, levando forte la voce perché la forzatura istituzionale non passi. Nessun dialogo, nessuna collaborazione politica possono svilupparsi in panorama disseminato da macerie istituzionali.
Repubblica 07-02-2009

martedì 27 gennaio 2009

Intervista a Renato Soru.

Il voto in Sardegna. Il conflitto di interessi. Il travaglio del Pd. Il governatore lancia la sua sfida: 'Se vinco dimostrerò che berlusconi si può battere. Come Prodi ha fatto due volte". Colloquio con Renato Soru
L'indirizzo è sempre lo stesso: Cagliari, piazza del Carmine 22, palazzo Chapelle. In questo edificio di inizio '900, decorazioni liberty e scale buie che sembra la location di un film di Dario Argento, Renato Soru cominciò nel '98 l'avventura di Tiscali, era gennaio anche allora: «Scesi a comprare gli scaffali per i primi computer». Qui è il comitato elettorale per la sfida della vita: le elezioni regionali del 15 e 16 febbraio. «Se vinciamo, il centrosinistra può considerare che la sconfitta non è per sempre. Si può tornare a vincere e battere Berlusconi. Come ha fatto Prodi per due volte». E basta questo per chiarire che la partita di Soru non riguarda solo la Sardegna.



Perché le elezioni anticipate?
«Tutto è nato attorno al voto sulla legge urbanistica: c'era chi voleva rovesciare il governo del territorio di questi anni, e chi voleva tornare alla stagione di una politica consumata per ricatti. Non sono stato sconfitto dalla destra, ma da un pezzo della mia maggioranza. Avevano promesso il loro appoggio, poi all'improvviso qualcuno ha passato l'ordine e hanno cambiato idea. Si è visto il capogruppo del Pdl attraversare l'aula del consiglio regionale e confabulare con alcuni consiglieri del Pd. Sa cosa mi ha ricordato? Ho pensato a quando è caduto il governo Prodi, a quella mortadella sventolata in Senato. Una cosa gravissima: quel voto è stato un gesto definitivo».

Qual è la sfida che si gioca ora in Sardegna?

«Credo nella politica e nei partiti: ma questi partiti hanno smesso di essere radicati, presenti nella società, luoghi di una densa partecipazione democratica. E si sono ridotti a club di capi e capetti. Non solo è giusto tornare a segnare un confine tra partiti e istituzioni. È urgente, urgentissimo».

In tutta Italia il Pd è dilaniato: inchieste, arresti, giunte in crisi. Esiste la questione morale?
«Ho visto politici che si fanno eleggere con la sinistra e poi votano con la destra. O che si fanno nominare nel listino del presidente e poi hanno sempre un parere diverso da lui, senza mai sentire il dovere di dimettersi. Se non è questione morale questa, cos'è? Politici così alle elezioni cercano un lasciapassare. Non c'è nessun legame con chi ti ha votato perché rappresenti un progetto. Una volta eletto ti senti in diritto di fare quello che ti pare».

Lei come li ha combattuti?
«Ho presentato nel 2004 un programma di governo, sulla cui base abbiamo vinto. E quando la maggioranza ha smesso di sostenermi me ne sono andato, rimettendomi al voto dei cittadini».

Per i suoi nemici interni lei è un personaggio autoritario, non ascolta nessuno e decide da solo.
«Ascoltare, discutere, approfondire, l'ho fatto più di chiunque, lo chieda a sindacati e imprenditori. Ascolto anche i partiti, certo. Poi però la responsabilità della decisione è mia, mi guidano la mia coscienza e il patto con gli elettori. Chi dice questo confonde l'ascoltare con l'obbedire a logiche che non sono quelle istituzionali».

Nel Pd circola la battuta: "Meglio perdere che rivincere con Soru".

«L'ho sentita anch'io. Per questo chiedo al Pd un segno forte di discontinuità. Non venga ricandidato chi ha più di due legislature. E chi non si riconosce nel programma».



Anche Veltroni deve rompere con i capibastone, come ha fatto lei?

«Non mi permetto di dargli consigli. Con Veltroni ci siamo trovati d'accordo nella scelta di andare al voto, ho molto apprezzato il suo discorso al Circo Massimo quando è stato evidente che il popolo del Pd esiste e vuole essere rappresentato».



Crede ancora nel progetto del Pd? Oppure, come dice D'Alema, l'amalgama non è riuscito?

«Mi sono candidato segretario regionale del Pd, pensi quanto ci ho creduto...».



Ne parla al passato?

«Ci credo ancora! C'è necessità e urgenza della politica. Per questo c'è bisogno di un partito di centrosinistra che rappresenti questi valori. Il Pd è una strada difficile, ma è un percorso senza ritorno. Una traversata nel deserto, come quella di Mosè. Durante la quale è necessario un leader riconosciuto che trascini il popolo smarrito. Se il popolo litiga non va da nessuna parte».

C'è stato qualche errore?
«Forse bisognerebbe mettere più in risalto la continuità con l'esperienza di Romano Prodi e dell'Ulivo. Quella è la radice più autentica del Pd: la società civile che si è avvicinata alla politica. Senza, il Pd resta la somma dei soli partiti originari, spesso con vecchi personaggi che si stavano rassegnando al rinnovamento e che si sono ritrovati di nuovo alla guida».

E lei, con quali parole d'ordine si ricandida?
«Con un programma nettamente di centrosinistra. Basato sul bene pubblico: territorio, sanità, istruzione. La destra vuole privatizzare la sanità, noi abbiamo rimesso il bilancio a posto e aperto nuovi ospedali, riportato in Sardegna i detenuti con problemi psichiatrici. Abbiamo aiutato le persone non autosufficienti come mai era successo, con oltre 20mila progetti personalizzati, dai 3mila del 2004. Sono assistiti loro e le famiglie, sollevate finalmente dai costi».

"Liberazione" le ha dedicato un inserto intitolato "Yes, Ajò": Obama e nuraghe. È diventato l'idolo della sinistra radicale.
«Perché queste cose dovrebbero essere necessariamente di sinistra? Perché a un moderato non dovrebbero stare a cuore? Una volta mi hanno attaccato: 'Perché parli di solidarietà e di ultimi? Sarebbe meglio parlare di welfare'. Forse lo ritengono poco riformista, come dice chi spesso non ha niente di riformista. Sono temi di sinistra? Per me sono temi democratici. E ci distinguono dalla destra».

Si rappresenta come Robin Hood. Ma nella difesa dei suoi interessi non è secondo a nessuno.

«Ho risolto la questione...».

Con la nomina del fiduciario Gabriele Racugno, che amministrerà Tiscali e 'Unità'. Eppure suo fratello Emanuele è stato per una settimana nel cda dell''Unità', come Paolo Berlusconi proprietario del 'Giornale'. Anche lei non sembra molto lineare sul conflitto di interessi...
«Non c'è paragone possibile tra me e Berlusconi: lui è premier e titolare di una concessione pubblica per cui è incompatibile, controlla l'intero apparato mediatico...».

Lei è in politica dal 2004. Perché ha sentito l'urgenza di risolvere questo problema solo ora?
«Nel 2004 non sentivo il problema di un conflitto di interessi. Tiscali non aveva concessioni regionali né finanziamenti pubblici. Per qualche tempo ho pensato bastasse non intervenire nella mia società. Ma ho chiesto a Guido Rossi di aiutarci a scrivere una legge regionale sul conflitto di interessi. Ora quella legge c'è. Non ancora imperativa, ma ho fatto come se già lo fosse. Berlusconi risolve il problema uscendo dal Consiglio dei ministri, io ho tolto il mio nome dal libro soci, c'è quello del fiduciario. Le azioni sono totalmente nella sua disponibilità, ci siamo impegnati a non scambiarci informazioni e direttive. È come se avessi intestato la mia casa e i miei risparmi a un altro: quanti farebbero lo stesso?».

Sarà. Ma la scrittrice sarda Michela Murgia la definisce un "Berlusconi esteticamente sostenibile". Con i soldi e la stessa ambizione di sostituire i vecchi partiti dell'originale.
«Io di Berlusconi mi sento diametralmente l'opposto».

Quando vi siete incontrati la prima volta?
«Al Quirinale anni fa, durante un ricevimento per re Juan Carlos. Per la Sardegna non ha mai fatto niente. Una volta mi disse: "Alla regione ho regalato tre musei: quello del cactus, del fico d'india e del rododendro, quando li viene a vedere?". Gli ho risposto che avrei preferito che prendesse la residenza fiscale da noi. Vorrei anche che trovasse il tempo di una visita in regione: in cinque anni mai un incontro nella casa di tutti i sardi».

Che scontro sarà con Ugo Cappellacci?
«Si presenta come nuovo, ma non lo è. È stato assessore nella giunta di centrodestra che aveva accumulato in un anno un deficit record di un miliardo e 300 milioni di euro. Non conosce la Sardegna. Sarà uno scontro Soru-Berlusconi per interposta persona. Quando ho vinto la prima volta, il governo Berlusconi era già in crisi. Ora c'è Berlusconi trionfante che pensa di potersi prendere la Sardegna. "Faccio sapere ai sardi che noi ci occupiamo amorevolmente dei problemi della loro isola". Sa di chi è questa frase? Di Benito Mussolini, l'ho ritrovata nella biografia di Emilio Lussu scritta da Giuseppe Fiori. Berlusconi dice la stessa cosa: ci penso io. Noi diciamo: no, alla Sardegna e a noi stessi pensiamo da soli».

È l'anticipo di un futuro scontro Soru-Berlusconi nazionale?

«Ho letto che mi ha fatto sondare come suo avversario. Ma forse perché intende sostituirsi al candidato in Sardegna».

Cosa cambia per il centrosinistra se Soru vince?
«Si interrompe l'idea di un sempre vittorioso Berlusconi. Se vinciamo il centrosinistra ha una ragione in più per considerare che la sconfitta non è per sempre. E che si può tornare a vincere e battere Berlusconi. Come ha fatto Prodi per due volte».

da L’Espresso 8 gennaio 2009